Andrea Doria o, più correttamente, Andrea D'Oria (Oneglia, 30 novembre 1466 - Genova, 25 novembre 1560).
Rimasto orfano a 17 anni dovette scegliere fra il mestiere delle armi e la carriera ecclesiastica. Andrea scelse di fare il soldato. Si recò a Roma dove ottenne, grazie al cugino Nicolò D’Oria, capo della guardia di papa Innocenzo VIII, un posto da ufficiale. Continuò la carriera militare come soldato di ventura al servizio dei Montefeltro, degli Aragonesi e di Giovanni Della Rovere signore di Senigallia nipote di papa Sisto IV e fratello del futuro papa Giulio II. Nel 1503 ottenne il comando delle truppe genovesi inviate in Corsica per sedare una rivolta; riuscì a battere i rivoltosi e a catturarne il capo Ranuccio della Rocca. Nel 1512 si affermò a Genova il partito antifrancese guidato da Giano Fregoso. I francesi inviarono alla Briglia, un castello che teneva il porto di Genova sotto il tiro dei suoi cannoni, un vascello da guerra che bloccò il traffico portuale. Andrea guidò personalmente un’azione che portò alla presa della nave. Questo episodio consacrò definitivamente anche a Genova l’immagine del condottiero. Rientrando i francesi a Genova, D’Oria e la flotta ripararono a La Spezia; dopo la sconfitta dei francesi a Novara, ad opera degli Svizzeri, Andrea ritornò a Genova aiutando così Ottaviano Fregoso a diventare il nuovo Doge.
Al successivo rientro dei francesi, Andrea D’Oria e la sua flotta riuscirono, ancora una volta, a prendere il mare rifugiandosi nella roccaforte dei Grimaldi a Monaco. Fu in questo periodo che, il futuro Ammiraglio, stipulò un contratto con il nuovo papa Clemente VII per comandare le navi pontificie. In effetti, aveva trasferito sul mare il principio delle compagnie di ventura, creando una flotta che metteva a disposizione del miglior offerente. L’alleanza con i francesi divenne ingombrante perché Genova rischiava continuamente di diventarne un protettorato, al contrario Carlo V si accontentava di una semplice alleanza, inoltre aveva bisogno, visto il suo impero, di capitali e navi ed i genovesi avevano grande disponibilità di ambedue i fattori; per questo motivo Andrea non partecipò personalmente alla spedizione di Francesco I per cacciare gli spagnoli da Napoli, ma inviò il nipote Filippino D’Oria che il 20 maggio 1528 sconfisse la flotta spagnola.
I tempi per il cambiamento di alleanze erano maturi. Cacciati per l’ennesima volta i francesi da Genova, Andrea rientrò in città, ma rifiutò la signoria che gli veniva offerta dicendo che, al potere, preferiva il benessere della città. In altre parole preferì un controllo esterno del potere e non diretto. Venne così istituita la Repubblica Aristocratica di Genova retta da un Doge assistito da 12 senatori e 8 procuratori. In verità, il centro dello stato era nelle mani di 5 sindacatori che controllavano l’operato delle altre cariche; Andrea D’Oria venne nominato priore perpetuo di questo collegio ed esentato a vita dal pagamento delle tasse. Da Palazzo D’Oria di Fassolo (chiamato oggi Palazzo del Principe perché Carlo V lo nominò principe di Melfi e gli conferì il Toson D’oro) continuò a dirigere, nell’ombra, la Repubblica. Alla sua morte, non avendo figli, nominò suo erede Gianandrea, figlio del nipote Giannettino, morto durante la congiura dei Fieschi. Si dice che il suo testamento fosse stato redatto in Genovese. --Claudia Peirè 11:15, 4 Oct 2010 (CEST)
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Bibliografia
- Doria Andrea, In Enciclopedia Internazionale Grolier, Vol. VI, Bergamo, Armando Curcio Editore, 1990, pag. 326-327